Overtourism e poi? Retourism.

a cura di A cura di Ferruccio Lissidini

Overtourism e poi? Retourism.

C’era un tempo in cui il turismo italiano era un riflesso dei miti sportivi, dei simboli nazionali che plasmavano i sogni di viaggio. Le piste da sci erano affollate già solo per l’eco lasciato da eroi come la “Valanga Azzurra” o Alberto Tomba. Le famiglie italiane, ispirate da successi e carisma, sceglievano la montagna come meta per vivere, anche solo per un attimo, quella stessa magia.

Oggi i miti hanno altri volti. Sono quelli degli influencer, che con uno scatto ben curato riescono a trasformare una destinazione in un must globale. Chi li segue, spesso, desidera andare dove loro sono stati, mettersi esattamente in quel punto, scattare la stessa foto. Il viaggio diventa immagine, racconto visivo, esperienza costruita anche per essere condivisa. Una dinamica nuova, che ha reso il turismo più accessibile, ma anche più rapido, più guidato dalla visibilità piuttosto che dalla scoperta.

Ma facciamo un passo indietro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la crescita del benessere, viaggiare diventa possibile per molti. Negli anni ’60 e ’70, le vacanze sono lunghe, italiane, stanziali. Si sceglieva una località montana o una spiaggia, e ci si tornava rispettivamente ogni inverno o estate. Negli anni ’90 e 2000, con Internet e i voli low-cost, cambiano le abitudini: il viaggio si fa più flessibile, personalizzabile, frequente.

L’avvento dei social media aggiunge un nuovo livello: il viaggio si mostra, si condivide, si racconta in tempo reale. Alcune destinazioni, per la loro bellezza scenografica, diventano virali. Questo porta notorietà, ma anche una crescente concentrazione di visitatori. Da qui il dibattito sull’overtourism: una pressione crescente su luoghi che, a volte, faticano a gestire un flusso così costante.

Senza toni allarmistici, il tema non è tanto l’afflusso in sé, quanto la necessità di accompagnarlo con strategie che preservino la qualità dell’esperienza e l’equilibrio dei luoghi. Diversificare i percorsi, valorizzare mete meno note, promuovere un turismo distribuito e attento: sono queste le chiavi per un futuro più sostenibile.

Ed è proprio qui che si inserisce il concetto di retourism: un ritorno alla dimensione autentica del viaggio. Non un passo indietro, ma un passo consapevole. I viaggiatori saranno sempre più orientati a esperienze significative, attente all’impatto ambientale e culturale, alla qualità del tempo speso. Il viaggio tornerà ad assomigliare a ciò che era all’origine: scoperta, relazione, ascolto.

La tecnologia, se ben integrata, potrà favorire questa evoluzione. Big data, intelligenza artificiale e realtà aumentata offriranno strumenti per personalizzare le esperienze e distribuire meglio i flussi, senza rinunciare alla profondità del contatto con i territori. Le destinazioni che sapranno innovare, preservando la propria identità e coinvolgendo le comunità locali, saranno quelle capaci di durare.

Nel turismo che verrà, conterà meno la quantità e più la qualità dello sguardo. Il vero lusso non sarà mostrare dove si è stati, ma conservare ciò che si è vissuto. 

 

Foto di Mattia Amoruso

Foto di @crizuelli